ARTE – PUBBLICITA’ (2001)

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ARTE s.f. 1 Attività umana regolata da accorgimenti tecnici e fondato sullo studio, sull’esperienza 2. L’attività individuale o collettiva, da cui nascono prodotti culturali o comportamenti e sim. che sono oggetto di giudizi e valore, reazioni di gusto e sim.

PUBBLICITA’ s.f. Attività aziendale diretta a far conoscere l’esistenza di un bene o servizio e a incrementarne il consumo e l’uso.

“……avere una vera e propria storia pur essendo sotto l’incantesimo dell’eterna ripetizione della produzione di massa.” (T.W.Adorno)

La pubblicità è comunicazione basata sul subliminale. I manifesti pubblicitari in città, per esempio, associati alla velocità di movimento della massa, comparendo e scomparendo in modo massiccio dalla mattina alla sera, sono paragonabili al meno tre frames/secondo dei video (vietatissimi in video perché messaggio subliminale!).
La pubblicità è una comunicazione che “s’insinua si fissa e colpisce” (Argan) imponendo un messaggio, si promozionale di un qualsiasi prodotto, quindi indotto economico, che opera a livello di laboratorio di sperimentazione sociale sul comportamento, di conseguenza sul cambiamento subconoscio dell’essere/fruitore. Quindi….non indurre solamente al possesso di un prodotto, ma possedere l’essere nella sua interezza “attiva” come consumatore e “passiva” come essere pensante.
Negli anni ’50 – ’60 la pubblicità portava nell’immagine il prodotto in primo piano, solamente il prodotto stesso oppure affiancato da un anonimo individuo felice di possedere il nuovo status symbol (io sono perché posseggo). Nel caso delle pubblicità recenti il prodotto non appare quasi più se non proprio del tutto, sostituito dal testimonial/modello che diventa la pubblicità all’essenza pura, portando la massa a non ambire unicamente a possedere il prodotto / oggetto ma a cannibalizzare il testimonial per acquisirne l’identità fisica, quindi divenire la massa una stessa unità di modelli fisici identici (tecniche di chirurgia estetica?). Ma a cosa serve avere tutti questi esseri / prodotto identici se non li puoi manipolare e controllare?….Ecco affiancato al testimonial il messaggio scritto subliminale pronto ad essere “fissato” nella massa – società. Ecco quindi crearsi un laboratorio sociale da parte della multinazionali sempre e comunque legato al potere politico, che impostano le pubblicità allo scopo di modellare il prodotto / essere umano, per istaurare un’egemonia non più solamente economica ma, e soprattutto, una formazione “omogeneizzata” economico-politica dove tutti siano uguali e socialmente dirigibili e controllati.
Per un incredibile strano gioco del destino fu proprio un artista, Henri de Toulouse-Lautrec, ad intuire le potenzialità dell’immagine pubblicitaria massicciamente affissa (affiche) sui muri cittadini. Per Toulouse-Lautrec disegnare un’affiche per il “moulin Rouge” (ca. 1880) era un impegno non inferiore alla realizzazione di un quadro, perché nella pubblicità è più importante il comunicare del rappresentare.
Da Toulouse-Lautrec in poi, a cavallo tra l’800 e i primi ‘900, furono molti gli artisti che lavorarono per i manifesti pubblicitari di varie aziende o fabbriche; in Italia, per esempio, è impossibile scindere Depero dalla “Campari” dal 1920 in poi.
E’ in questo periodo di industrializzazione che si sviluppa anche una visione critica, da parte di alcuni artisti, verso il prodotto stesso o l’immagine che lo ritrae. Dal 1910 in poi sono diversi gli artisti, Dada e non, ad utilizzare e ribaltare l’immagine del prodotto: Juan Gris fu tra i primi ad utilizzare le etichette commerciali introdotte in un’opera “Le parquet de Quaker Oats” 1915, George Grosz “Ricordati lo zio Augusto, lo sfortunato inventore” 1919, i Futuristi russi come V. Maiakowsky, Rodcenko o i Dadaisti europei dal 1920 in poi come Kurt Schwitters e Hannah Hoch, tra i tanti, che con le loro opere-collage di tante etichette commerciali sovrapposte, crearono una nuova poetica antiestetica. Ma è oltreoceano, nello stesso periodo 1910 – ’20 che i Dadaisti americani o artisti europei emigrati negli USA sviluppano un estetismo antiestetico industriale, utilizzando il prodotto stesso per portarlo ad essere opera d’arte. Questa fu un’operazione di critica sociale – industriale e allo stesso tempodi messa in crisi dell’opera d’arte in quanto tale. Fu in questo periodo che Marcel Duchamp diede inizio ai suoi famosi “Ready-mades”, ossia oggetti industriali d’uso comune innalzati alla “dignità” di opere d’arte: “Ruota di bicicletta” 1913, “Con rumore segreto” 1916 (metallo e rotolo di spago) o “Fontana” 1917 (il celebre orinatoio rovesciato: MUTT). Accanto a Duchamp, Francis Picabia sviluppa invece “l’icona industriale”, ritraendo l’oggetto ordinario industriale con il linguaggio dell’illustratore commerciale, appiattandolo su un fondo vuoto bianco, aspaziale: “Portrait d’une jeune fille americane dans l’etat de nudite” 1915 (una candela elettrica per automezzo) o “Portrait of Max Jacob” 1915 (una torcia elettrica).
Dopo di allora è solamente verso gli anni ’50-’60 che ritroviamo di nuovo il prodotto commerciale e la pubblicità al centro dell’arte. E’ proprio in questo periodo post-industriale e neo-consumistico / capitalista del dopoguerra che si sviluppano, oltreoceano e in Europa, i movimenti che proseguono il Dada d’inzio secolo: la Pop-Art (popular art) in Inghilterra e in America e il Nouveau Realisme soprattutto in Francia e Italia. I primi in Inghilterra a capire la dirompenza del vecchio discorso Dada in un contesto storico, sociale e economico totalmente diverso sono Richard Hamilton, Peter Blake e David Hockey e negli USA, introducendolo nella nuova “scuola di New York”, sono Robert Rauschenberg e Jasper Johns; ma è nel 1960, con Andy Warhol, che l’opera, che l’opera d’arte diventa consumo di massa che ritrae a sua volta, in primo piano, un prodotto di consumo di massa (v. Picabia), conosciuto ed economico: “Campbell’ soup can (Tomato rice)” 1960 (barattolo di minestra Campbell’s). “Coca Cola” 1960 (bottiglia di Coca Cola) , ed è sempre Warhol, intuendo l’interesse di una massa sempre più omologata, che vuole cambiarsi anche fisicamente, a portare nel mondo dell’arte le pubblicità più economiche sulle plastiche nasali “Bifore and after” 1960 o sulle parrucche “Wigs” 1960. Ma queste opere americane del ’60, a differenza dei primi dadaisti, erano una critica-acritica del prodotto sul prodotto, che non comportava alcuna rottura politica o sociale verso il nuovo consumismo capitalista, ma solo una rottura estetica all’interno del mondo dell’arte stessa.
In Europa, invece, con la ricostruzione del secondo dopoguerra, il boom economico e un consumismo sfrenato, la ricerca degli artisti è più politico / sociale che estetica: il Nouveau Realisme (Neorealismo) non prende il prodotto lucido da un supermarket, ma un prodotto già commerciato, consumato e gettato o dimesso per farne una critica sociale a un consumo folle e importato. Le pulsioni critiche verso il prodotto vengono soprattutto dalla Francia, con Cesar che utilizza come sculture i rottami di auto compresse in blocchi dagli sfasciacarrozze (1960) o da Arman che raccoglie lo stesso tipo di oggetto industriale e lo inscatola: “Glou glou” 1961 (accumulazione di tappi metallici di bottiglia usati); e dall’Italia con Mimmo rotella che porta i manifesti pubblicitari strappati dalla strada a essere “memoria” consumistica della massa: “Mitologia” 1962 (manifesto strappato) o “Marilyn” 1963 (manifesto di cinema strappato).
Questi sono solo alcuni esempi di artisti che si sono interessati allo sviluppo prima materiale, poi capitalistico, oggi iper-capitalistico della società. Ed è proprio in questo periodo iper-capitalista, sviluppatosi negli ultimi due decenni con l’evoluzione informatico / mediatica che l’arte non ha più mirato al prodotto / oggetto capitalistico, ma al messaggio pubblicitario-mediatico delle multinazionali; mentre la pubblicità s’impossessava sia dei messaggi che delle immagini dell’arte e della politica, stravolgendoli e svuotandoli dei contenuti per indottrinare e impostare uno stile di vita improntata sul consumo e sul controllo economico-politico. Non è un caso che nel 1999, solo in Italia, sono stati spesi oltre 25.000 mld di vecchie lire per la comunicazione e per gli spazi pubblicitari; e dove per “comunicazione” s’intende lo studio di gusti, bisogni, abitudini, immagine del consumatore / tipo alla ricerca del famigerato “Target”: il bersaglio da colpire a livello subconscio (o subliminale) sia come identità (messa in crisi dell’io / immagine) sia come consumatore indotto e controllato.
A questo punto è d’obbligo per gli esseri ancora pensanti analizzare e scoprire il messaggio subliminale delle multinazionali, che ha acquisito anche un valore politico / sociale, per rimandarlo alle masse / subliminate non pensanti come contro pubblicità (controinformazione) in forma poetica e politica. Vedi Jenny Holzer che negli anni ’80 mandava i suoi messaggi dai led luminosi di Time Square (N.Y.), prima dominio assoluto di Sony & CO., oppure i manifesti (stile Benetton) a favore del condom, contro la logica oscurantista di Woytjla da parte del gruppo Art & Language degli anni ’90. E in forma ironica i contro slogan Internet / Situazionisti di oggi sulla politica commercial-elettorale di Berlusconi.
Le masse possono scegliere se rimanere abbagliate dal non pensiero o scegliere di essere pensanti, ovviamente il discernimento, l’analisi e il libero pensiero comportano più lavoro e più impegno rispetto all’abbaglio passivo di un miraggio indotto.
Da una parte ci sono i laboratori per indottrinare (Think tank, Brain storming, marketing, ipercapitalismo); dall’altra la libertà di critica e di pensiero……ora dipende da noi da che parte vogliamo stare……..se vogliamo ancora essere “esseri pensanti”.
“………….avere una vera e propria storia pur essendo sotto l’incantesimo dell’eterna ripetizione della produzione di massa”. (T.W.Adorno)

2001 LEOFREDDI

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